mercoledì 11 aprile 2012

Riflessione sullo Spread dal Sole 24 Ore

Guardare la sfera di cristallo dello spread è impresa ardua, persino per i maghi più avveduti. Il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato della periferia dell'Eurozona (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Irlanda e compagnia bella) e il Bund tedesco (considerato il titolo più affidabile dell'area) si sta muovendo dallo scorso luglio - quando si è acuita la crisi dei debiti sovrani - con una volatilità senza precedenti.

Volatilità accentuata anche in questa prima fase del 2012 quando sembrava tornata un po' di quiete dopo la tempesta di fine 2011. Per guardare all'Italia, lo spread tra BTp e Bund a 10 anni è passato dai 550 punti base di inizio anno (dopo il picco a 580 toccato a dicembre) ai 270 punti base del 19 marzo. Per tornare oltre quota 400 nella giornata di ieri. Oggi, dopo il buon esito (sul lato della domanda) dell'asta di BoT da 11 miliardi questo parametro che spaventa i mercati - e di cui si parla ormai abitualmente anche dal barbiere - si è sgonfiato sotto quota 370.

A marzo si è celebrato anche il sorpasso, nella classifica della più alta rischiosità dei titoli sovrani, della Spagna sull'Italia. Lo spread Bonos - Bund ieri ha superato quota 440 e oggi, pur in flessione, si mantiene stabilmente oltre la soglia d'allarme dei 400 punti (guarda il grafico degli spread dei Paesi dell'Eurozona ).

Cosa c'è da aspettarsi? Tornerà (prima o poi) la calma oppure, tra una strambata e l'altra, continueremo a vedere pericolosi su e giù degli spread e, di conseguenza, sui titoli di Stato ampiamente presenti nei portafogli tanto delle banche quanto dei risparmiatori italiani?

Per capirlo cerchiamo di analizzare i fattori di rischio che stanno agendo in queste settimane come drammatiche leve sui movimenti bruschi degli spread, dalla Spagna bollente, alla speculazione, dalle riforme strutturali agli irrisolti problemi dell'unione politica e monetaria europea.

L'effetto trimestrali
Sulla recente volatilità degli spread ha influito anche l'effetto trimestrali. Molti istituti di credito, che in pancia detengono una rilevante quantità di titoli sovrani periferici, hanno approfittato della rivalutazione dei prezzi dei titoli di Stato partita lo scorso gennaio (con conseguente calo di rendimenti e spread con il Bund tedesco) per portare a casa e nei bilanci trimestrali importanti plusvalenze. Da gennaio a marzo, infatti, i BTp decennali si sono rivalutati del 19%.

Il rischio contagio dalla Spagna
A parte il fattore tecnico delle trimestrali sull'altalena degli spread influisce anche il fattore Spagna . In cinque mesi il nuovo governo di Mariano Rajoy ha pigiato tre volte sul tasto austerity con tre dure manovre da complessivi 40 miliardi. Last but non least quella varata ieri che contempla tagli per 10 miliardi a sanità e istruzione. Il tutto per portare il rapporto deficit/Pil al 5,3% entro fine anno, come concordato con le autorità europee. Ma se il ministro delle Finanze (nel caso specifico Luis de Guindos) indica, come ha fatto ieri, che «la Spagna non ha bisogno di salvataggi, per il momento» non trasmette certo serenità ai mercati, anzi. In molti (come pubblicamente in un report di Citigroup) credono che Madrid sarà costretta - come hanno già fatto Grecia, Portogallo e Irlanda - a chiedere una qualche forma di sostegno da parte della troika (Ue-Fmi-Bce). Sostegno che, per certi versi, equivale a una sorta di amministrazione controllata. Del resto, con un tasso di disoccupazione superiore al 20% e un mercato immobiliare sotto pressione i numeri posizionano la Spagna su un tetto che scotta.

Speculatori "allo scoperto"
E poi ci sono i mercati. Nell'ultimo discorso nel direttivo Bce, il governatore Mario Draghi ha detto che «i mercati chiedono le riforme ». Ma se lo spread della Spagna ieri è balzato a livelli record - nello stesso giorno in cui il governo ha tagliato 10 miliardi a sanità e istruzione - vuol dire che c'è qualcosa che non quadra. Perché nei mercati c'è un po' di tutto, compresa la speculazione, comprese le vendite allo scoperto (che puntano sul ribasso di un titolo) degli hedge fund sui titoli sovrani. Tra i mercati c'è anche quello (non regolamentato) dei cds (credit default swap). Una sorta di polizze assicurative che coprono dal rischio fallimento di un titolo sottostante. Ebbene, ieri i cds sulla Spagna si sono nuovamente impennati. E ciò non stupisce, anche perché questa forma di contratti è oggi molto utilizzata da investitori che puntano al ribasso sui titoli di Stato. A quanto pare, basta davvero qualche incertezza perché gli speculatori tornino all'attacco: «La pennichella della cosiddetta speculazione è durata molto poco - spiega Angelo Drusiani, responsabile investimenti di Albertini Syz -.È stato sufficiente che il governo spagnolo non rispettasse il rapporto deficit /Pil o che in Italia la riforma del lavoro non piacesse alle parti sociali, perché, rapidamente, il differenziale di rendimento tra i titoli emessi dai Paesi meno virtuosi d'area euro e gli analoghi tedeschi riprendesse a salire».

Attacchi della stampa anglosassone
C'è poi chi punta il dito contro la stampa anglosassone. Secondo un'analisi di Websim, tra le concause del recente innalzamento degli spread c'è anche «l'attacco della stampa anglosassone ai Paesi periferici della zona euro, che ormai non sorprende più nessuno per quanto è sempre compatta e ben orchestrata, anche perché utile a distogliere l'attenzione da una realtà che in quanto a conti pubblici sta molto peggio di noi».

Le instabilità dell'Unione europea
«Soprattutto, però, è lecito chiedersi se davvero siano i debiti pubblici sotto la lente d'ingrandimento o, come già s'era ipotizzato nello scorso autunno, l'impianto complessivo della moneta unica europea - continua Drusiani -. Meraviglia che, ancora oggi, la Banca centrale europea non possa stampare moneta allo scopo di "difendere" la finanza locale, esattamente come accade nei due grandi Paesi anglosassoni Usa e Regno Unito o in Giappone. Dovrebbe essere quasi automatico che, se un'area fosse davvero coesa, l'aiuto ai Paesi in difficoltà non dovrebbe essere sollecitato dai mercati, ma dalle stesse autorità politiche e finanziarie».

C'è una luce?
«L'obiettivo di breve termine di chi non ha fiducia nell'area monetaria europea è palese: guadagnare sulla caduta dei prezzi.» Lo è meno, se lo sguardo si porta più avanti: è ancora l'euro ad essere considerato un esperimento ancora non riuscito o sono davvero i debiti dei Paesi meno virtuosi a dovere tirare le somme e a costringere i governi a proporre manovre ancora più restrittive? «In quest'ottica - continua Drusiani - è assai complesso trovare una risposta univoca, mentre, nell'immediato, a fronte dell'eccesso di negatività che ha caratterizzato la seduta del 10 aprile scorso, è evidente che un aiuto da parte della Bce e una strategia di ricopertura da parte di chi ha già messo a segno interessanti profitti consenta ai mercati di respirare. La malattia, però, è abbastanza grave e non la si cura in poco tempo: aspettiamoci altre sedute molto difficili, altri momenti negativi. L'uscita dalla crisi finanziaria, nata a febbraio 2007, non è ancora all'orizzonte: servirà una strategia di carattere mondiale a "sistemarla". Forse, all'indomani delle elezioni presidenziali negli Usa un maggiore decisionismo mondiale potrebbe finalmente caratterizzare le scelte dei mercati finanziari: investitori, banche d'affari e, senza potere alcuno, i risparmiatori tradizionali».

Nessun commento:

Posta un commento