giovedì 28 febbraio 2013

Qualche indicazione sulla Tobin Tax ed un UTILISSIMO LINK

Ecco la Tobin Tax della Commissione Ue Stimati introiti per 35 mld, si pagherà ovunque

La principale novità riguarda il "principio di residenza": l'imposta sarà pagata se una delle due parti della transazione risiede in uno degli undici Paesi aderenti, indipendentemente dal luogo dell'operazione. Per l'Italia la sfida è far escludere dal balzello i titoli di Stato sul mercato secondario

MILANO - E' arrivata la proposta europea per la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie che riguarderà undici Paesi membri, tra i quali l'Italia, per i quali è stata attivata la "procedura di cooperazione rafforzata" (gli altri sono Francia, Germania, Belgio, Portogallo, Slovenia, Austria, Grecia, Spagna, Slovacchia ed Estonia). Dal nuovo progetto emerge che la Commissione Ue propone uno spettro più ampio di applicazione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, destinato a colpire anche Londra.

Si tratta della prima imposta sulle transazioni finanziarie applicata a livello regionale, come ha sottolineato il commissario europeo per la Fiscalità, Agirdas Semeta, secondo il quale l'imposizione porterà entrate per 30-35 miliardi. L'obiettivo dichiarato è quello di mettere un freno all'irresponsabilità dei mercati. La differenza principale rispetto alla proposta Ue del settembre 2011 è il principio del luogo di emissione: gli strumenti finanziari emessi negli 11 Paesi partecipanti saranno tassati, anche se saranno negoziati al di fuori dei confini. La proposta comprende infatti un principio di residenza: se la transazione viene realizzata da parti residenti negli 11 Paesi, l'imposta sarà dovuta indipendentemente da dove l'operazione ha luogo. Tutto questo per costruire barriere contro la delocalizzazione di attività finanziarie o l'evasione fiscale.

Quanto all'imposizione, si prevedono aliquote minime pari allo 0,1% per azioni e obbligazioni (compresi i titoli di Stato sul scambiati sul mercato secondario), e allo 0,01% per quanto riguarda i derivati. Saranno coperte tutte le istituzioni finanziarie, mentre sono previste eccezioni per la Banca centrale europea e i due fondi di salvataggio dell'Eurozona, Efsf ed Esm, così come per tutte le transazioni correlate alla politica monetaria, al rifinanziamento e la gestione dei debiti sovrani (cioè le emissioni dei titoli di Stato).

Uno dei punti da chiarire, che vede l'Italia smarcata rispetto ad altri Paesi, riguarda proprio il trattamento dei titoli di debito pubblico sul mercato secondario. Pe Semeta "sarà una delle molte questioni che saranno discusse durante il negoziato fra gli Stati membri partecipanti". L'Italia, che è contraria ad applicare la Tobin Tax ai titoli di Stato per non aggravare la crisi del debito sovrano, dovrà ora cercare di convincere gli altri 10 Paesi a esentare i buoni del Tesoro non solo al momento dell'emissione, ma anche negli scambi sui mercati secondari. Secondo alcuni calcoli della Commissione, l'italia non dovrebbe essere preoccupata: "Stimiamo che l'applicazione della tassa sul mercato secondario comporterà un aumento di circa sette punti base sugli interessi pagati all'emissione dei bond; ma per ogni euro pagato in più di interessi, lo Stato avrà 3 euro in più dalla tassa, considerando che percepirà tutto il gettito derivante dalle transazioni dei propri titoli sovrani", ha spiegato una fonte.


Un utilissimo sito dove poter fare simulazioni sull'effetto della nuova imposta:

 

 

Link articolo:

http://www.repubblica.it/economia/2013/02/14/news/tobin_tax_entra_il_principio_di_residenza_introiti_per_35_miliardi-52633760/

 

mercoledì 20 febbraio 2013

Risparmio, come scommettere sull'instabilità politica post elettorale (guardando allo spread)


Mancano pochi giorni alle elezioni politiche italiane. Un appuntamento che potrebbe avere importanti riflessi anche sui mercati finanziari, che nelle ultime settimane hanno già risentito del clima di incertezze. Un quadro elettorale post-voto eccessivamente frammentato e l'impossibilità di avere un governo forte in tempi rapidi potrebbe far tornare la speculazione all'attacco del nostro Paese: tensione sulla Borsa, spread di nuovo in rialzo, rendimento del BTp decennale sopra il 5 per cento.

Le mosse e gli strumenti 
Le grandi banche d'investimento stanno già studiando su come muoversi ipotizzando i vari scenari. Ma anche i piccoli risparmiatori possono "scommettere" sull'esito del voto attraverso l'uso di strumenti molto diffusi oggi, vale a dire gli Etf, i fondi che replicano gli indici. Sulla piazza milanese infatti sono quotati alcuni strumenti che replicano l'andamento (rialzista e ribassista) del Bund e del BTp. La leva è in alcuni casi pari a 2 e questo significa che ogni punto percentuale di variazione del BTp o del Bund produce un'oscillazione del 2% dell'Etf collegato. Quanto basta per potersi costruire in casa una strategia sullo spread.

Scenario A e scanario B 
Se l'investitore ipotizza uno scenario negativo (dal voto non uscirà una maggioranza chiara) che produrrà un netto rialzo dello spread, allora la strategie vincente sarà quella di acquistare Etf al ribasso sul BTp e al rialzo sul Bund. Al contrario se l'investitore ipotizza uno scenario positivo (dal voto esce una maggioranza netta) con un ribasso dello spread, allora la strategia migliora diventa quella opposta: acquistare Etf al rialzo su BTp e al ribasso sul Bund. Gli strumenti non mancano. La cosa importante è azzeccare la scommessa giusta. Perché trattasi proprio di una scommessa: mai come in questa tornata elettorale, infatti, l'esito del voto è incerto.

lunedì 18 febbraio 2013

Redditometro, le linee guida per contribuenti e professionisti in 10 punti

1. Il redditometro può essere retroattivo?

La vicenda va vista sotto due punti di vista. 
Il primo è quello secondo cui il nuovo strumento, in quanto conosciuto a fine 2012 (con l'emanazione del Dm 24 dicembre 2012), non potrebbe trovare applicazione per le annualità 2009/2010/2011 (precedenti al 2012).Sul punto, però, va obiettato che non sembra venga messo in discussione il principio di difesa del contribuente (articolo 24 della Costituzione). Il redditometro poggia sul principio che "se si è speso, prima probabilmente si è guadagnato". E' il principio di fondo dell'accertamento sintetico che vale fin dal 1932 (articolo 1 del Rd 17 settembre 1932, n. 1261), quando al tempo si voleva misurare il tenore di vita delle persone sulla base di "circostanze o elementi di fatto" che si sostanziavano nelle spese sostenute. Anche con la riforma degli anni '70 del secolo scorso l'accertamento sintetico si è sempre basato sulle spese effettuate dal contribuente (si veda circolare 27/7/2648 del 14 agosto 1981). Per cui dire che il contribuente non poteva sapere che attraverso il sostenimento delle spese non sarebbe potuto essere sottoposto ad accertamento sintetico appare fuori luogo; quindi, appare legittimo che il nuovo redditometro – norma chiaramente di natura procedimentale e, quindi con possibile applicazione retroattiva – possa trovare applicazione anche per le annualità 2009/2010 e 2011, precedenti all'emanazione del decreto di approvazione del redditometro.

2. C'è un altro tipo di valutazione da fare sulla retroattività del redditometro?

L'altra questione è quella, esaminata dalla circolare n. 1/E/2013, sulla possibile applicazione del nuovo strumento anche per l'annualità 2008.
L'Agenzia ha risposto in maniera tranciante, affermando che la norma stabilisce che il nuovo accertamento sintetico, così come modificato dall'articolo 22 del decreto legge 78/2010, trova applicazione solamente per i periodi d'imposta 2009 e successivi.
Va però rilevato che questo dato normativo stride con il contenuto della stessa rubrica dell'articolo 22 del decreto legge 78, la quale fa riferimento all'"aggiornamento" dell'accertamento sintetico, così come non sembrano particolarmente meditate le prime parole della stessa norma, la quale esordisce parlando di "adeguamento" dell'accertamento sintetico. I termini "aggiornamento" ed "adeguamento", in particolare, non sembrano particolarmente azzeccati con riferimento all'applicazione di una norma che si vorrebbe valida solo per il presente e per il futuro (visto che il decreto legge n. 78 è del 2010). Va infatti rilevato che la Corte di cassazione ha costantemente affermato che l'aggiornamento, ad esempio, del vecchio redditometro è intervento di natura procedimentale e, quindi, con valenza retroattiva.
Il distinguo tra norme procedimentali e sostanziali, più volte affermato dalla giurisprudenza e dalla prassi delle Entrate (ad esempio, circolare n. 32/E/2006 sulla retroattività della norma sui prelievi non giustificati del professionista), porta a ritenere che le disposizioni sul nuovo redditometro siano da considerarsi procedimentali (in quanto incidono solo sui controlli) e, quindi, retroattive.
Inoltre, va considerato che l'accertamento da redditometro (che, di fatto, ingloba anche il sintetico "puro" basato sulle spese effettive) deve essere inquadrato in quelli cosiddetti "standardizzati". Questi ultimi sono quei metodi di rettifica che muovono da un dato standard di partenza, generalmente (ma non necessariamente) derivante da un'estrapolazione media e statistica di una pluralità di dati settoriali, che deve poi essere adeguato alla singola realtà del contribuente. Una delle prerogative degli accertamenti standardizzati – affermata più volte dalla Corte di cassazione – è che la forma più evoluta di accertamento trova applicazione retroattivamente, se più favorevole al contribuente. Da qui la considerazione che il nuovo redditometro – senz'altro più evoluto di quello precedente - possa essere applicato anche alle annualità precedenti al 2009 (in questo senso Ctp Reggio Emilia n. 272/01/12), se risulta più favorevole al contribuente.

3. Quali presunzioni derivano dal redditometro?

Le presunzioni legali sono le uniche che invertono l'onere probatorio e lo addossano sul contribuente. Queste presunzioni si fondano su un fatto noto stabilito dalla legge (articolo 2728 del codice civile) che si propone di individuare un fatto presunto (per esempio, nel diritto tributario, un reddito o un ricavo). Con riferimento all'accertamento redditometrico, è fin troppo evidente che vi è la necessità di una personalizzazione di molti valori su cui lo stesso si fonda. Ciò si deve realizzare, ad esempio, in relazione all'ammontare degli investimenti così come quando l'amministrazione assume come valore di riferimento quello delle spese medie Istat (se superiore a quello delle spese effettive sostenute dal contribuente, di cui l'amministrazione è a conoscenza), in quanto il contribuente potrebbe avere sostenuto spese inferiori rispetto a quelle figurative.
Occorre considerare, inoltre, che il decreto 24 dicembre 2012 stabilisce che si considerano presuntivamente sostenute dal contribuente le spese relative ai beni e ai servizi effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico. Anche in questo caso è evidente la necessità della personalizzazione di tale dato in quanto le spese potrebbero essere state effettivamente sostenute da tali familiari. Così come una necessaria personalizzazione si impone quando vengono dichiarati dal contribuente redditi che non necessariamente rappresentano la sua effettiva capacità di spesa. Si pensi al reddito d'impresa che segue il principio di "competenza" e non "di cassa" e che, comunque, tiene conto di tutta una serie di "estrogeni tributari", quali le variazioni in aumento e in diminuzione.

4. Cosa cambia con la personalizzazione della presunzione?

Le considerazioni svolte in precedenza portano a una necessaria personalizzazione sia dell'ammontare delle spese attribuibili al contribuente che del reddito dichiarato. Anche quest'ultimo dovrà essere adeguato a quello effettivamente "spendibile" dal contribuente. Con la conseguenza che, per effetto di queste personalizzazioni, l'eventuale atto di accertamento successivo al contraddittorio (se quest'ultimo non andrà a buon fine) non potrà ritenersi fondato su una presunzione legale, mancando un fatto noto stabilito dalla legge, ma su una presunzione semplice, come d'altronde accade per tutti gli accertamenti di tipo standardizzato (e come ha già affermato la sentenza n. 23554 del 20 dicembre 2012 della Corte di cassazione a proposito del nuovo redditometro; tenendo conto che la Corte aveva affermato la valenza di presunzione semplice del vecchio redditometro con sentenza 13289 del 17 giugno 2011).
L'ufficio dell'amministrazione finanziaria, quindi, dovrà rappresentare nell'atto, pena il difetto di prova, questo adeguamento del dato di partenza alla concreta realtà del contribuente, al fine di individuare il reddito complessivo attribuibile. Oppure, l'ufficio dovrà rappresentare le ragioni per le quali ritiene che il dato di partenza si attaglia perfettamente, nonostante le giustificazioni fornite dal contribuente nel contraddittorio e, ancora prima, nella richiesta di chiarimenti, al caso concreto del singolo soggetto.

5. Quale sarà il ruolo del giudice?

Sarà il giudice a stabilire se la personalizzazione potrà ritenersi fondata e, quindi, se gli elementi portati in giudizio determinano la presenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, necessari per stabilire se la presunzione semplice si è "formata". In buona sostanza, il percorso di adeguamento alla singola realtà del contribuente svolto dall'ufficio dovrà dimostrare, con un buon grado di attendibilità, il reddito presuntivamente attribuibile allo stesso. Qualora ciò si realizzerà, l'onere probatorio si trasferirà sul contribuente, il quale avrà ampia libertà di prova (a prescindere da quanto rappresentato nel corso del precedente contraddittorio obbligatorio) di fronte al giudice.

6. L'accertamento da redditometro chiude la posizione del contribuente?

Il contribuente che sarà raggiunto da un accertamento da redditometro avrà sostanzialmente "sanato" la sua posizione reddituale. Occorre partire dall'operatività degli accertamenti parziali (articolo 41-bis del Dpr 600/1973). Questi sono nati (nel 1982) per dare la possibilità all'Agenzia di tradurre immediatamente in un atto di accertamento un elemento "certo", senza la necessità di eseguire un'attività istruttoria per l'intera posizione del contribuente (da qui il nome di "parziale").
Nel tempo, i "parziali" sono stati modificati, ma si deve ritenere che debbano essere emessi solo quando l'Agenzia è a conoscenza di elementi certi di evasione, anche perché, altrimenti, non avrebbe senso il distinguo tra atti di accertamento ordinari e parziali. Il "parziale", ad ogni modo, consente, all'Agenzia di effettuare ulteriori rettifiche. In presenza di un atto di accertamento ordinario, invece, l'ulteriore azione di rettifica è ammessa solo quando l'Agenzia viene a conoscenza di elementi che non poteva assolutamente conoscere quando ha eseguito l'originario accertamento. 
Con riferimento al redditometro, occorre rilevare che lo strumento individua il reddito complessivo del contribuente (dato, ad esempio, dalla sommatoria dei redditi d'impresa, di capitale, fondiari, eccetera), così che l'accertamento non può certo essere effettuato per il tramite di un "parziale". In realtà, questa regola venne derogata all'epoca della "minimum tax", quando si sentì l'esigenza di non agire solo nei confronti dei piccoli imprenditori, ma di tutte le persone fisiche. Con l'articolo 11-ter del decreto legge 384/1992 venne stabilito, infatti – come deroga alla regola generale – che l'accertamento sintetico poteva essere fatto con un "parziale".
Quando, però, con l'introduzione degli studi di settore (Dl 331/1993), venne abrogata la minimum tax, venne abrogata anche la norma che consentiva eccezionalmente di effettuare il "sintetico" tramite un "parziale". Attualmente, quindi, la rettifica da redditometro non può essere fatta attraverso un accertamento parziale, il quale può avere un senso per una singola categoria reddituale e non per l'individuazione del reddito complessivo del contribuente. Conseguentemente, dopo avere fatto un accertamento ordinario da redditometro (anche preventivamente chiuso in adesione), l'Agenzia potrà tornare sulla posizione del contribuente solo per fatti del tutto nuovi. Ad esempio, se il redditometro riguarda un imprenditore, l'Agenzia potrà eseguire un nuovo accertamento sull'attività d'impresa solo in seguito a "incroci" presso terzi o per l'Iva o l'Irap. Non potrà certo applicare presunzioni reddituali come quelle degli studi di settore e delle indagini finanziarie sull'attività d'impresa.

7. Che ruolo avranno per il redditometro le spese medie Istat?

L'agenzia delle Entrate ha affermato in un recente convegno che le spese medie Istat assumeranno rilevanza solo nell'ambito del contraddittorio. In sostanza, nella selezione delle posizioni da sottoporre a controllo, l'esame verrà fatto sulla base delle spese effettivamente sostenute dal soggetto, che verranno messe a confronto con il reddito che lo stesso dichiara. Nell'ambito del contraddittorio (se proseguirà l'esame della posizione del contribuente) invece verranno prese in considerazione anche talune spese medie Istat. Il principio di base (articolo 3, lettera a, del decreto sul redditometro) è che rilevano, ai fini della ricostruzione del reddito presunto, le spese effettivamente sostenute dal contribuente di cui l'Agenzia è a conoscenza. Possono essere sia spese che risultano dalla tabella A, allegata al decreto del redditometro, che spese diverse. Per quelle comprese nella tabella A, viene considerata la spesa effettivamente sostenuta in relazione a 30 voci. Si tratta, ad esempio, delle spese per il mutuo della casa, del canone di locazione, dell'energia elettrica, dei soggiorni di studio all'estero, dei contributi previdenziali obbligatori.
Poi vi sono una serie di voci di spesa – esattamente 24 – riportate dalla tabella, in cui viene previsto che si applica il valore più elevato tra quello che il contribuente ha effettivamente sostenuto - e che risulta a conoscenza dell'Agenzia - e quello della spesa media Istat del nucleo familiare di appartenenza oppure della spesa rilevata da analisi e studi socio economici. Va subito detto che la spesa rilevata da studi socio economici vale soltanto per le spese relative a imbarcazioni, aeromobili e cavalli. Pertanto, per 21 voci di spesa, si applica la spesa media Istat, se risulta superiore al valore delle spese sostenute dal contribuente. Questo confronto (sostanzialmente tra spesa media Istat - considerando chi non ha barche, aeromobili e cavalli- e spesa effettiva) viene fatto, ad esempio, per le spese relative a: alimentari e bevande, abbigliamento e calzature, elettrodomestici e arredi, medicinali e visite mediche, spese scolastiche, animali domestici, argenteria, orologi, alberghi, pensioni, viaggi organizzati.
Per tutte queste spese, il problema di fondo è se l'Agenzia potrà applicare i valori Istat in ogni caso o solo quando è a conoscenza che il contribuente ha sostenuto in termini quantitativi quel tipo di spesa. Poiché il decreto stabilisce che l'elemento indicativo di capacità contributiva è la spesa effettivamente sostenuta dal contribuente, è da ritenere che il confronto debba essere fatto solo quando l'amministrazione ha elementi che il contribuente ha sostenuto effettivamente, sotto il profilo quantitativo, quel tipo di spesa. D'altronde, per tornare all'elencazione - ancorché esemplificativa - di prima, non tutti sostengono spese per gli animali o spese scolastiche, così come non tutti vanno in vacanza oppure acquistano gioielli e argenteria. Così che i valori Istat devono trovare applicazione solo quando risultano più alti rispetto all'ammontare delle spese sostenute dal contribuente di cui l'amministrazione è a conoscenza.

8. Quando conviene presentare scontrini a propria difesa?

Quando prevalgono i valori Istat, va rilevato che per molte spese (ad esempio: altri beni e servizi per la casa, cancelleria, libri, giornali) sarà sostanzialmente inutile produrre successivamente, da parte del contribuente, della documentazione giustificativa (scontrini, ricevute, eccetera), per affermare che l'importo di spesa che ha effettivamente sostenuto è inferiore: l'Agenzia potrà sempre dire che non sono stati prodotti tutti i documenti giustificativi e, comunque, quando si tratta di scontrini, questi non sono intestati. Mentre per altre spese (ad esempio, quelle per le vacanze), il contribuente potrà dimostrare – con documentazione intestata – che le spese effettivamente sostenute sono inferiori a quelle Istat, per cui dovranno rilevare le spese effettivamente sostenute.

9. Quando valgono valori figurativi?

Vi sono due voci nella tabella del decreto sul redditoemtro, per le quali valgono solo i valori figurativi: si tratta del fitto figurativo, quando il contribuente abita in una casa che non è di sua proprietà (o altro diritto reale) né risulta in locazione né data in uso gratuito da familiari, e dei "pasti e consumazioni fuori casa" (in questo caso si applica il valore della spesa media Istat). E' da ritenere che tali valori figurativi potranno trovare applicazione se l'Agenzia ha elementi (in questo caso non necessariamente quantitativi) che il contribuente sostiene quel tipo di spese.

10. Quali altre spese rilevano per individuare la posizione reddituale del contribuente?

A tutti i valori di spesa che sono stati citati nelle precedenti risposte (effettivi e figurativi) si sommano ulteriormente gli incrementi patrimoniali (al netto dei disinvestimenti) e la quota di risparmio riscontrata (dall'ufficio) nell'anno.













giovedì 14 febbraio 2013

Bot e Btp non saranno più garantiti dallo Stato?

La notizia risale al dicembre 2012, ma l'attuazione della norma è partita dal 1°gennaio 2013 e riguarda l'introduzione delle clausole collettive (CACs) nei titoli di Stato. 
Il comunicato stampa del Ministero dell'Economia - datato 17 dicembre 2012 - riporta che a partire dal nuovo anno le "le nuove emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno saranno soggette alle clausole di azione collettiva". 

Cosa sono le CACs? Previste nel Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità(ESM), ratificato anche dall'italia, sono delle clausole vessatorie e regolano la possibilità, per uno Stato che versa in una condizione di crisi del debito sovrano (come ad esempio è avvenuto in Grecia), di ricontrattare interessi, scadenze e di proporre agli investitori lo scambio con obbligazioni di diversa tipologia. Le CACs quindi rendono obbligatorio lo scambio anche dalla contrparte che non ha acconsentito, a condizione che vengano rispettate determinate soglie: gli accordi europei stabiliscono che l'emissione di titoli di debito pubblico con le CAC non superino il 45% emesso in un anno. 
Secondo questo accordo previsto dall'ESM, il mercato dei titoli di Stato dei BOT eBTP non saranno più garantiti dallo Stato stesso, in quanto con le CACs si potranno rinegoziare accordi precedentemente presi e rinegoziare la propria esposizione debitoria con gli investitori. 

Alla notizia, gli esperti del settore lanciano i primi timori. Innanzitutto sulla soglia prestabilita: "il limite di emissione del 45% è sicuramente una tutela affinché la maggior parte dei titoli di debito pubblico di nuova emissione resti garantito così come lo sono sempre stati - scrive Pasquale Marinelli, collaboratore del sito di finanza Wall Street Italia - ma [...] quanto tempo passerà affinché tale limite venga modificato e aumentato, fino ad avvicinarsi al 100%? Che grado di affidabilità avrebbero questi titoli nei confronti degli investitori, di cui lo Stato emittente può cambiare le condizioni iniziali di sottoscrizione, quando più conviene ad esso?".

Una nuova norma che, quindi, starebbe ufficialmente decretando il fallimentodello Stato italiano: sebbene il rendimento di questi nuovi titoli pubblici risulterebbe più alto rispetto ai precedenti, perché è insito in esso il rischio di ricontrattazione in negativo dei titoli da parte dello Stato, in caso di rischio del suo default, con queste clausole verrebbe meno il concetto di sicurezza che da sempre è prerogativa dei titoli di Stato. Clausole che, rispetto all'investitore, pongono il soggetto meno avvantaggiato - in questo caso lo Stato - in una situazione contrattuale privilegiata. Non solo: le CACs garantirebbero per legge la ristrutturazionedel debito sovrano, che in Italia ha superato la soglia dei 2 mila miliardi, 100 miliardi solo nel 2012.

http://it.finance.yahoo.com/notizie/cacs-a-rischio-le-garanzie-titoli-di-stato-143459293.html

mercoledì 6 febbraio 2013

Mutui, perché l'Euribor ha ripreso a salire e fino a dove può arrivare


L'Euribor è in risalità. Su tutte le principali scadenze (da 1 mese a 12 mesi) l'indice interbancario tanto caro alle famiglie che stanno rimborsando un mutuo a tasso variabile (o si apprestano a stipularne uno) da qualche giorno ha invertito il lungo trend al ribasso che lo ha portato a toccare i minimi di tutti i tempi. Il primo rialzo si è registrato il 24 gennaio, da allora, al piccolo trotto l'Euribor ha continuato a salire. Oggi l'Euribor a 1 mese è stato fissato allo 0,123% (pochi centesimi in più rispetto al minimo storico dello 0,108%) mentre l'Euribor a 3 mesi è stato fissato allo 0,233% (contro il minimo a 0,181%).
Sia chiaro, si tratta di ritocchi marginali che però vanno comunque analizzati perché le rate della maggior parte dei mutui variabili sottoscritti in Italia, si adeguano di mese in mese proprio alle oscillazioni, seppur minime, di questo parametro.
Ma perché gli Euribor hanno invertito la tendenza? E fino a dove potrebbero muoversi? Proviamo a rispondere a queste due domande, in attesa di avere nuovi lumi dalla Banca centrale europea che domani tornerà - come accade per ogni primo giovedì del mese - a riunirsi in sede ordinaria e a dettare gli aggiornamenti sulla politica monetaria. E con ogni probabilità dovrebbe mantenere il tasso di riferimento (il costo del denaro) allo 0,75%, minimo di sempre per l'Eurozona.
Perché gli Euribor stanno salendo
Tralasciando le polemiche e le indagini sulla manipolazioni degli Euribor - che recentemente si sono estese alle banche tedesche visto che l'autorità tedesca di regolamentazione dei mercati finanziari Bafin ha deciso di lanciare una inchiesta approfondita e si sta concentrando su quattro dei principali istituti bancari del Paese, tra cui Deutsche Bank e Portigon - possiamo registrare che i primi rialzi dell'Euribor sono inevitabilmente collegati alla notizia della restituzione di capitali ricevuti in prestito dalla Bce da parte di molti istituti europei.
Seconto quanto comunicato dalla Bce a fine gennaio, 278 dei 583 istituti europei che a dicembre dello scorso anno avevano ricevuto prestiti agevolati per un totale di 489 miliardi, ne hanno restituiti 137 (prima della scadenza) alla Bce. Il dato è superiore alle attese e indica sostanzialmente due cose: 1) avvio di un processo di normalizzazione del mercato interbancario; 2) riduzione di liquidità che si è riflessa sui tassi a breve, spingendoli al rialzo.
Così sono balzati i tassi Eonia (una sorta di Euribor in versione ridotta che misurano la media dei tassi interbancari su scambi giornalieri, tassi overnight). Sono risaliti gli Euribor (da 1 a 12 mesi). E sono risaliti anche i titoli di Stato tedeschi con i titoli battuti in asta a 12 mesi tornati positivi dopo che per sette mesi hanno offerto un rendimento negativo e paradossale.
«Sia chiaro, è un movimento ridotto rispetto ai minimi assoluti, prossimi allo 0, siamo risaliti di pochi centesimi - spiega Roberto Anedda, vicepresidente di Mutuionline.it -. Ma è un segnale importantissimo perché finalmente qualcosa sta tornando verso la normalità: sta ad indicare che il mercato interbancario ha cominciato a riaprirsi e questo potrebbe portare a una progressiva normalizzazione degli Euribor (la media storica degli ultimi 10 anni per l'Euribor a 3 mesi è del 3% contro lo 0,23% attuale,ndr)».
Le previsioni sugli Euribor
In questo momento i future che proiettano l'andamento dell'Euribor a 3 mesi da qui a cinque anni indicano una lenta ma costante risalita: il tasso dovrebbe portarsi allo 0,5% a fine 2013 per raddoppiare all'1% a settembre 2014 fino a raggiungere l'1,8% nel settembre 2017. Previsioni che vanno ovviamente prese con le pinze perché attualizzano quello che oggi il mercato pensa accadrà nei prossimi anni. I margini di errore, quindi, sono alti. Ma la tendenza di fondo resta valida: questi Euribor non possono che salire in conseguenza del fatto che il mercato interbancario, e quindi lo stato di salute delle banche dell'Eurozona, non può che migliorare rispetto alla condizione anomala in cui versa in questa fase.
Cosa cambia per i mutui
Una notizia che non farà piacere a chi sta rimborsando un mutuo a tasso variabile che vedrà probabilmente nei prossimi mesi piccoli ritocchi al rialzo delle rate, dopo aver però beneficiato negli ultimi anni della straordinaria caduta degli Euribor. Nel computo algebrico complessivo quindi, in caso di rialzo degli Euribor, andrebbero messi anche gli incredibili vantaggi percepiti dalla generazione di mutuatari fortunati con lo scivolone degli utlimi anni. E poi, un altro dato: le previsioni indicano sì un trend rialzista ma decisamente al piccolo trotto (150 punti base partendo da soglie azzerate) in quattro anni. Ciò significa che la differenza che oggi persiste tra i migliori mutui a tasso variabile (3%) e i migliori a tasso fisso (5%) offre ai "variabili" ancora un margine di vantaggio per valutare seriamente questa opzione, anche alla luce del trend sull'Euribor.
A ciò va aggiunto, per chi oggi si appresta a stipulare un mutuo, che un eventuale rialzo degli Euribor non potrà che essere accompagnato da una contestuale discesa degli spread applicati dalle banche sui mutui. Perché a quel punto le banche non avrebbero più giustificazioni per tenerli alti.


http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-02-06/mutui-perche-euribor-ripreso-114802.shtml?uuid=Abd0njRH

Carburanti: per i distributori prezzi online e trasparenti


Presto tutti i gestori di impianti di distribuzione carburanti dovranno comunicare al ministero dello Sviluppo economico i prezzi che praticano. E dovranno curare che i consueti cartelloni (o tabelloni digitali) con cui li pubblicizzano siano ben visibili dalla strada, veritieri e non facciano riferimento a sconti, fuorvianti perché lasciano nascosto il prezzo di partenza, che potrebbe essere molto alto. Sono tutte novità attese da un anno, perché introdotte dal decreto liberalizzazioni (Dl 1/12) del governo Monti, nel gennaio 2012.
Ma solo ieri il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha firmato i due Dm attuativi. Sono norme non troppo complicate, ma saranno ugualmente difficili da applicare: si tratta di tenere sotto controllo una rete di oltre 20mila punti vendita. Un compito che storicamente è sempre stato svolto a fatica. E sarà difficile soprattutto vigilare sul divieto di pubblicizzare gli sconti, perchè non è chiaro come ci si dovrà comportare con le scritte pubblicitarie separate dalla cartellonistica sui prezzi.
La comunicazione dei prezzi al ministero servirà per farli pubblicare sul sito del dicastero stesso (www.mise.gov.it), in modo che chiunque possa sapere in ogni momento quanto si paga in ogni distributore italiano. Un obbligo del genere, sinora, era previsto (dal Dl 7/07, il secondo delle liberalizzazioni Bersani) solo per la viabilità principale, ma era mal formulato e di fatto è stato applicato solo su alcune autostrade. La situazione era lievemente migliorata con Dm 15 ottobre 2010, attuativo degli ulteriori obblighi imposti dalla legge sviluppo del 2009 (legge 99/09). Il decreto firmato ieri cerca invece di estendere gli obblighi di comunicazione all'intera rete distributiva.
L'impianto del Dm 15 ottobre 2010 resta sostanzialmente invariato. Quindi, i prezzi dovranno essere comunicati per la prima volta quando il Dm andrà in vigore (la data dipenderà da quella di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) o, per gli impianti di nuova apertura in futuro, il giorno di avvio dell'attività. Successivamente, andrà comunicata subito ogni variazione in aumento. Per quelle in diminuzione non c'è un obbligo immediato: i cali di prezzo saranno riportato dal sito ministeriale in occasione della successiva comunicazione periodica, che deve avvenire entro l'ottavo giorno da quella precedente.
Il Dm di ieri stabilisce il calendario e le modalità con cui tutto questo andrà esteso a tutta la rete distributiva.
Si comincia dalle strade statali, dove:
- dal 30esimo giorno dopo la pubblicazione del Dm sul sito ministeriale l'obbligo di comunicazione riguarderà solo gli impianti che vendono gas (Gpl e metano, anche assieme ad altri carburanti);
- del 90 esimo giorno toccherà anche agli impianti che vendono solo benzina e/o gasolio col self service (anche in abbinamento alla modalità "servito");
- dal 120esimo giorno, l'obbligo scatta per tutti.
Si passerà poi al resto della viabilità ordinaria, anche nei centri abitati: si comincerà dal 180esimo giorno successivo alla pubblicazione del Dm, quali che siano i carburanti venduti e la presenza o meno del self-service.
Quanto alla cartellonistica, oltre alla visibilità dalla strada (obbligatoria anche oggi, ma spesso disattesa, soprattutto negli impianti con prezzi alti) va garantita l'uniformità. Quindi occorre rispettare un ordine di esposizione: in alto va riportato il prezzo del gasolio, seguito da benzina, Gpl e metano. Rispetto a oggi, restano le tre cifre decimali, ma solo le prime due (quelle che contano davvero nei confronti fatti dai consumatori) andranno con i caratteri più grandi (altezza minima 12 centimetri) usati anche per la cifra intera. I prezzi si riferiscono al self service (se presente); quando è presente anche la modalità "servito", occorre un cartello separato, che riporti solo le differenze in aumento rispetto al self service. Se c'è solo il "servito", andrà esposto quello. Quando sono in vendita anche carburanti speciali (i vari "premium", "plus", "Blusuper", "V-Power" eccetera, più costosi), non c'è obbligo di cartellone visibile dalla carreggiata; ma, se lo si espone, deve essere separato rispetto agli altri.
Tutto questo non cambia le regole del 2007 sui "benzacartelloni" autostradali, che rimarranno come sono attualmente. Cioè poco leggibili.
La cartellonistica andrà adeguata gradualmente:
- a partire dal 15esimo giorno dopo la pubblicazione del Dm sulla Gazzetta Ufficiale, i prezzi andranno indicati senza sconti:
- dal 60esimo giorno andranno evidenziati la cifra intera e le prime due decimali;
- dal 90esimo giorno scatterà il nuovo ordine di elencazione dei prezzi dei vari prodotti, dall'alto verso il basso.
Ma, quando adeguarsi comporta la necessità di sostituire la cartellonistica esistente, il Dm lascia un anno di tempo. Che sale a due per gli impianti che avevano già installato o sostituito la cartellonistica attuale negli ultimi 24 mesi.


http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-05/carburanti-distributori-prezzi-online-214956.shtml?uuid=AbTb8WRH

lunedì 4 febbraio 2013

PF e Provvigioni, come ridurre l'incubo IVA


A partire dal 1° gennaio 2013 le provvigioni legate ai servizi di intermediazione nella gestione individuale di portafogli riconosciute ai promotori finanziari devono fare i conti con l'IVA del 21% e, a partire da luglio 2013, con una aliquota del 22%. Tutti sanno che a stabilirlo è stata la Legge di stabilità del 24 dicembre 2012, ma in pochi sono consapevoli del fatto che esistono, per legge, delle soluzioni che permettono al promotore finanziario di ridurre gli effetti dell'IVA sul proprio guadagno personale. Scopriamo come in tre mosse.

1.  Attenti alle fatture
Una prima operazione da compiere riguarda la verifica della correttezza delle fatture emesse. Dal momento che il singolo promotore finanziario è responsabile del corretto trattamento IVA delle prestazioni fornite il consiglio è quello di verificare che all'interno della fattura siano adeguatamente distinte le provvigioni legate a servizi tradizionali, e per definizione esenti da IVA, da quelle dovute per i servizi di gestione individuale di portafoglio, che invece sono ora soggette a IVA.

2. Valutare l'abbandono del regime 36-bis
Molti promotori finanziari finora hanno optato per il cosiddetto regime 36-bis, ovvero un regime che elimina il diritto della detrazione IVA, a fronte dell'esonero dagli adempimenti IVA. Ma dal momento che una parte delle provvigioni saranno soggette a IVA, il cosiddetto "pro-rata di detraibilità IVA" potrebbe crescere: per questo rinunciare al diritto della detrazione secondo il regime 36-bis potrebbe tradursi in una scelta poco vantaggiosa.

3. Meglio separare le attività 
Una volta verificata la correttezza delle fatture e valutato il vantaggio di abbandonare il regime 36-bis, una terza mossa da considerare riguarda la separazione delle attività prevista dalla Legge IVA. In particolare, l'art. 36, comma 3, della legge citata, permette di avvalersi della cosiddetta separazione delle attività per coloro che svolgono "sia il servizio di gestione individuale di portafogli", sia "attività esenti dall'imposta ai sensi dell'articolo 10, primo comma". Quali sono i vantaggi di una tale separazione? L'IVA pagata sugli acquisti di beni e servizi relativi e/o connessi all'attività di gestione individuale di portafoglio diventerebbe integralmente detraibile. 

Prima di seguire alla lettera le tre strade indicate si consiglia, naturalmente, un confronto con il proprio consulente fiscale, soprattutto per quanto riguarda la valutazione dei costi legati alla gestione dei due distinti registri IVA che si verrebbero a creare perseguendo questa strada.


http://www.advisoronline.it/promotori-finanziari/risparmio-gestito/19139-pf-e-provvigioni-come-ridurre-l-incubo-iva.action

sabato 2 febbraio 2013

Mps, occhio agli aumenti di costi e commissioni

CARI MONTI BOND - È il tema del momento e diamo per scontato che chi ci legge conosca a sufficienza le vicende del Monte dei Paschi di Siena. La banca, in evidenti difficoltà, verrà salvata dai famosi Monti bond, figli spuri dei Tremonti bond a cui Mps farà ricorso per 3,9 miliardi di euro. La differenza tra i Tremonti e i Monti bond è che i secondi sono molto più costosi dei primi. Questi soldi che lo Stato darà alla banca senese dovranno essere rimborsati a un tasso crescente, che parte dal 9% e arriva fino al 15%. Bene. Sin qui tutto detto e tutto scritto.


IL RIMBORSO - Se Mps non pagherà, lo Stato verrà rimborsato con azioni della banca, che verrà così nazionalizzata. Bastano due calcoli semplici: oggi Mps capitalizza 3 miliardi di euro in Borsa, se dovesse rendere 3,9 miliardi non basterebbero nemmeno tutte le azioni per soddisfare il creditore. Il destino di Mps sembra dunque segnato e la sensazione prevalente è che i 3,9 miliardi non verranno rimborsati.

TOSARE I CORRENTISTI - Però se il presidente Profumo e l’amministratore delegato Viola volessero tentare un recupero dovrebbero tagliare i costi e aumentare i ricavi. Il taglio dei costi è già iniziato con la riduzione delle filiali, un piano di diminuzione del personale e l’abbattimento di premi e privilegi. Ma per aumentare i ricavi, una banca che dovrà agire con molta cautela, visti i trascorsi degli eccessi della finanza creativa, potrà ragionevolmente aumentare i guadagni dalla clientela. Insomma, tosare i correntisti, che potrebbero vedersi incrementare costi e commissioni. Certo, ci sono altri modi per far salire le entrate, magari dando più qualità agli investimenti. Ma con una zavorra come quella del Montepaschi, fatta di un macigno di Btp a lunga scadenza e circa 17 miliardi di crediti “difficili”, i margini di manovra sono molto ridotti.

 

http://www.soldiweb.com/notizie/mps-occhio-agli-aumenti-di-costi-e-commissioni#.UQzg2xG9KSN